Sto bevendo vino del mio vigneto in Toscana e rifletto su come gli sconvolgimenti economici globali – dalle guerre commerciali alle crisi energetiche – stiano influenzando le nostre vite qui nel cuore dell’Italia. La risposta è semplice: tutto ciò che è globale diventa locale.
L’Italia è un Paese orientato all’export. Vendiamo moda, cibo, automobili e arte al mondo. Pertanto, quando l’economia cinese rallenta o vengono imposte sanzioni alla Russia, i nostri agricoltori e le nostre fabbriche ne risentono immediatamente. Ad esempio, il divieto di esportazione del Parmigiano Reggiano in Russia ha privato centinaia di famiglie del loro reddito.
Allo stesso tempo, stiamo assistendo a un ritorno al locale. Dopo la pandemia e le catene di approvvigionamento, molti italiani hanno iniziato ad acquistare solo prodotti realizzati nella loro regione. Questo non è solo patriottismo, ma anche una strategia: una minore dipendenza dai rischi globali.
Il nostro settore energetico è particolarmente vulnerabile. Fino al 2022, l’Italia riceveva fino al 40% del suo gas dalla Russia. Oggi stiamo diversificando le nostre forniture, dall’Algeria, dall’Azerbaijan e dagli Stati Uniti. Ma questo è più costoso. E questi costi ricadono su famiglie e imprese.
Allo stesso tempo, la globalizzazione offre anche opportunità. Le startup italiane di biotecnologie e tecnologie verdi trovano investitori negli Stati Uniti e in Asia. I nostri vini e oli d’oliva sono richiesti da Tokyo a San Paolo.
L’economia globale attraverso gli occhi di un italiano: tra globalizzazione e localismo
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